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Appunti sulle differenze fra il mirino ottico e il mirino elettronico

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Appunti sulle differenze fra il mirino ottico e il mirino elettronico.

Prendo spunto per questo tutorial dai numerosi articoli usciti in merito. Il punto che vorrei evidenziare riguarda l’aspetto culturale che contraddistingue questo elemento. Il mirino è un’esclusiva degli apparecchi fotografici più evoluti, non presente nei cellulari. Da un punto di vista strettamente tecnico le differenze fra questi due tipi di mirino sono sostanziali. Comunque vada aldilà delle differenze l’utilizzo è uguale, serve cioè a capire cosa stiamo fotografando. Possiamo definirlo il nostro terzo occhio. Da questa visione scaturisce la nostra scelta sulla composizione e l’inquadratura. Il mirino ci dà una visione chiara della scena, rende pratica l’impugnatura della fotocamera e fornisce una serie di informazioni utili per lo scatto come il diaframma, la velocità dell’otturatore, l’esposizione e altri dati.

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I classici mirini delle cosiddette DSRL (in inglese OVF optical view finder) sono mirini ottici, creati molti anni fa e consentono una visione chiara e diretta della scena come i nostri occhi. Questo è possibile grazie alla presenza del pentaprisma che attraverso una serie di specchi posti a 45 gradi fanno rimbalzare il raggio di luce che passa attraverso l’obiettivo, raddrizzare l’immagine e farci vedere esattamente il campo inquadrato. Il mirino ottico funziona sempre anche con la fotocamera spenta e quindi non consuma batteria. La sua resa è uguale sia con tanta luce che con poca luce. La visione è diretta e immediata e non modificata da nessun intervento della fotocamera. Quello che cambia in tempo reale è la visione del fuoco. Cioè nel mettere a fuoco il soggetto vediamo realmente cosa c’è a fuoco, inoltre con le fotocamere di ultima generazione si illuminano i sensori della autofocus che si trovano nel mirino facendoci vedere come lavora questo automatismo. Quando si scatta però fra le tante cose che succedono lo specchio a 45 gradi presente di fronte l’otturatore si alza per far passare la luce e in questo momento per una frazione di secondo il mirino si oscura. Con i tempi veloci non ci si fa caso, mentre con i tempi lunghi il fenomeno è marcato.

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Passiamo ai mirini elettronici o EVF (electronic view finder in inglese). Sono nati ovviamente con il digitale dato che la visione del campo inquadrato avviene su un display di dimensioni più o meno grandi, una funzione ereditata dal mondo del video. Con il mirino elettronico infatti vediamo un piccolo display che si trova di fronte alla piccola finestra che corrisponde esattamente al display grande. Nato da subito con le fotocamere compatte hanno avuto un grande sviluppo con la diffusione delle cosiddette mirrorless. Quelle macchine cioè prive di specchio reflex, ma comunque con gli obiettivi intercambiabili. Ultimamente la qualità di visione di questi mirini è migliorata molto tanto che molti la giudicano al pari se non meglio di quella ottica. La caratteristica principale del mirino elettronico è che fa vedere esattamente cosa succederà prima di scattare al contrario di quello ottico che potevamo saperlo solo dopo lo scatto. Ad esempio se impostiamo il jpeg della fotocamera in modalità monocromatica vedremo l’immagine in bianco e nero e quindi aiutandoci mentalmente con le nostre scelte. Tra l’altro posso vedere nel mirino anche il play dei nostri scatti. Con questo mirino il consumo della batteria è maggiore e quindi con la macchina spenta non vediamo nulla. Alcuni mirini hanno infine un ritardo di visione dovuto dall’elettronica.

 

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foto per gentile concessione di Silvia Riccardi

Infine una considerazione non tecnica, ma di tipo culturale come accennavo all’inizio. Giudico queste differenze molto importanti anche se il mio è un giudizio molto soggettivo, per cui rimando ad ognuno le proprie considerazioni in merito.
Anche se ultimamente i mirini elettronici sono molto migliorati il mio pensiero è che vedo comunque un’interpretazione della fotocamera che condiziona molto la mia percezione visiva o meglio fa da “filtro” fra il soggetto e i mei occhi. Non è una visione pura. Per fare un esempio il pozzetto della mitica Rolleiflex con la sua classica impugnatura restituisce al fotografo una visione unica, esclusivamente fotografica. L’immagine che si materializza sullo schermo smerigliato dà un’immagine che già essa è una fotografia che si memorizza nel momento del clic. Il suo utilizzo stimola la nostra mente a riflettere sul nostro progetto, a pensare sulla composizione e inquadratura. Come un pittore che ha di fronte a sé una tela bianca pronta per essere dipinta. Ci riappropriamo del nostro tempo e possiamo provare un piacere quasi fisico come il grande Henri Cartier Bresson diceva “Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale”.
Buona luce.

 

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